L’intervento di Carlo Bartoli su Repubblica in merito alle ulteriori restrizioni alla stampa
Il testo del presidente nazionale dell’Ordine pubblicato il 15 luglio sul quotidiano diretto a Molinari
Caro direttore,
l’approvazione della legge Nordio ha provocato molte polemiche per la parte che riguarda l’abolizione del reato di abuso di ufficio, ma non ha suscitato la giusta attenzione per la nuova stretta sull’informazione in materia di cronaca giudiziaria. Un argomento che dovrebbe stare a cuore ai cittadini. Un tema che rappresenta il discrimine tra democrazia e autoritarismo. Una preoccupazione cui danno voce l’Unione europea, molte associazioni indipendenti, i sindacati internazionali dei giornalisti, importanti testate internazionali.
Davvero, mi chiedo, la possibilità di dare conto in maniera compiuta e completa di quanto avviene in Italia nelle procure e nelle aule giudiziarie è un fatto che preoccupa la comunità internazionale e non interessa noi cittadini italiani?
Gli interventi normativi del ddl Nordio impattano direttamente su uno dei punti cruciali dell’informazione giornalistica: le fonti giudiziarie. Viene imposta una ulteriore stretta sia sulle intercettazioni che sulla struttura dell’avviso di garanzia, norme che comprimono ulteriormente la possibilità di fornire una corretta informazione sui motivi per cui una persona viene sottoposta alla misura cautelare del carcere. Tutto questo in nome del diritto alla riservatezza. Noi sosteniamo il contrario in nome della trasparenza e della democrazia e perché ci piacerebbe che l’Italia assomigliasse più a una democrazia evoluta e meno a un Paese nel quale la libertà di informazione è a scartamento limitato.
Siamo ad un nuovo passo in avanti nella riduzione degli spazi di accesso alle fonti per i giornalisti che si occupano di informazione giudiziaria. Una tendenza che va avanti dalla scorsa legislatura quando, con la riforma Cartabia, in nome del giusto principio della presunzione di innocenza, furono varate norme che, nella loro applicazione, hanno portato all’oscuramento di moltissimi fatti di cronaca di rilevante interesse pubblico.
Allo stesso tempo niente viene fatto per avviare una riforma del reato di diffamazione che non solo prevede ancora il carcere – caso unico in Europa – ma che consente di usare le azioni giudiziarie, penali e civili, come strumenti di intimidazione contro i giornalisti che si occupano di fatti scomodi e contro i cittadini che vogliono denunciare abusi e prepotenze. Ricordiamoci che l’Italia è osservato speciale da parte degli organismi internazionali per le cosiddette “querele temerarie” contro i giornalisti.
Siamo consapevoli che non ci sono diritti assoluti; ogni diritto va temperato con altri diritti. In questa fase, tuttavia, il diritto all’informazione – che non riguarda tanto i giornalisti ma i cittadini – viene progressivamente eroso e sacrificato rispetto ad altri diritti, che non possono essere né prevalenti né assoluti. C’è, da parte del legislatore, una interpretazione a senso unico del principio della “presunzione di innocenza”: solo ed esclusivamente a limitazione della libertà di stampa. E la stessa cosa sta accadendo in nome del principio di riservatezza.
Da tale impostazione nascono una criticabile riforma della diffamazione, il divieto di pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare, le restrizioni all’acceso delle fonti. La soluzione per noi è sempre la stessa: trasparenza e responsabilità. Deve essere il giornalista, nella sua autonomia, a trovare il giusto equilibrio. Non altri. Se il giornalista sbaglia se ne assume le responsabilità, in sede disciplinare o in sede giudiziaria, ma le norme devono essere equilibrate, non possono essere tese solo a limitare la trasparenza dell’attività della Giustizia. In tal modo diventano una limitazione della libertà di stampa; principio riconosciuto dalla nostra Costituzione, dal diritto europeo e da quello internazionale. La libertà di informazione è un caposaldo della democrazia, continuare ad erodere tale principio significa aprire dei varchi a pericolose pulsioni autoritarie.
Carlo Bartoli, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti