REPORT 2023

Nuove prospettive per il giornalismo

Richard Gingras

Vicepresidente di Google per le News

Nel corso del 2022 Richard Gingras ha incontrato platee di tutto il mondo pronunciando discorsi sulle sfide che il giornalismo si trova ad affrontare nella nostra moderna era digitale.

Questa è una sintesi di tali discorsi, scritta e rielaborata da Gingras per il nostro Osservatorio, nella quale analizza i vari aspetti ed i cambiamenti del giornalismo

La più grande sfida che il giornalismo deve affrontare è la sua rilevanza.

Il giornalismo di qualità non esisterà, tanto meno prospererà, se una società non riconosce l’importanza del giornalismo e non lo sostiene con la propria attenzione e il proprio supporto finanziario. Praticamente tutti i sondaggi evidenziano quanto la percezione della fiducia e del valore del giornalismo siano in costante calo. Ciò non sorprende, dato che molti politici liquidano come “fake news” tutto ciò che ritengono sia per loro sfavorevole.

Il mondo è cambiato. Più che mai c’è bisogno di giornalismo di qualità per comprendere il nostro mondo ed essere cittadini attivi. Siamo sopraffatti da internet: cambia continuamente, clic dopo clic, con ogni frammento di informazione che sputa fuori. Dai teneri meme dei social network a una schiera infinita di opinionisti e influencer. Dagli utili tutorial e dai sogni ispirati di creatori di video, agli imbonitori e ai propagandisti. Dalle istantanee di graziosi nipotini, alle foto ritoccate per manifestare una falsa indignazione. Dall’ esperienza profonda del giornalismo digitale innovativo, all’astroturfing finanziato da chissà chi.

È un ecosistema mediatico complicato composto da elementi di una semplicità spaventosa. La cultura, la politica e le notizie sono ridotti a meme e messaggi di 280 caratteri senza contesto né sostanza. Il nostro mondo è distorto e stravolto da sconfortanti meme culturali che siamo indotti ad amplificare, da cattive pubblicità che offrono falsi rimedi, da politici che soffiano sul fuoco di paure che essi stessi promettono poi di spegnere.

Certo, esiste un giornalismo responsabile e basato sui fatti, difficile da identificare e in gran parte sopraffatto dal cicaleccio cacofonico e anestetizzante che è l’espressione collettiva di internet.

In che modo il giornalismo svolge il suo ruolo critico in mezzo a tutto ciò?

Per comprendere come viene percepito il giornalismo nelle società in cui operiamo, dovremmo porci delle domande:

  • Il nostro pubblico comprende il ruolo del giornalismo?
  • Sa a quali fonti affidare il suo prezioso tempo e denaro?
  • L’esplosione di opinioni a basso costo ma popolari sta soffocando la credibilità del giornalismo basato sui fatti?
  • La deriva verso le notizie di parte sta peggiorando il problema?
  • Le persone capiscono quello che noi pensiamo loro capiscano?
  • I siti di notizie cercano sottoscrizioni e abbonamenti facendo promesse solenni sulle virtù del “giornalismo di qualità”: quale piccola percentuale delle nostre società comprende qualcosa di tutto ciò?

Certo, possiamo chiedere più alfabetizzazione mediatica.

Ma raccontarci venti motivi per cui dovremmo mangiare più broccoli e meno pizza non basta. Abbiamo bisogno di esplorare nuove ricette per un menu giornalistico allettante e salutare.

Il fondamentale rapporto tra giornalismo, fiducia e comunità

Per comprendere questo rapporto chiedo spesso agli editori quali ricerche facciano. In genere la risposta è “poche” o “nessuna”. Oppure: “Studiamo i nostri registri di utilizzo. Analizziamo il nostro traffico.”

Va bene. Ma questo non dice nulla su coloro che non visitano il sito, nulla su che cosa il pubblico apprezzi.

Un amico, un caporedattore, mi ha detto: “Ho capito cosa vogliono i miei lettori”. Non avevo intenzione di criticare il giudizio del mio amico, però gli ho chiesto: “Non ti aspetti che i tuoi giornalisti facciano molte domande prima di decidere cosa sanno o non sanno su un determinato argomento?”

Allora perché non fare ricerche?

Collaboro con testate giornalistiche locali emergenti un po’ in tutto il mondo. C’è speranza. Village Media in Canada, ha riscontrato un notevole successo commerciale e ora opera in più di 60 città.

Partecipano alla vita della comunità. Cercano di comprendere e soddisfare tutte le esigenze di informazione di ciascuna comunità. Il loro successo è un’opportunità di cui possono beneficiare molti imprenditori dell’informazione locale.

Un giornalismo responsabile è fondamentale per il ruolo del giornalismo. Ma è importante rispondere a tutte le esigenze di informazione di una comunità: eventi, sport locali, necrologi. È questo “giornalismo di servizio” che stimola il coinvolgimento, crea legami con la comunità, incentiva la pubblicità locale e amplia il pubblico del giornalismo di inchiesta.

Come ha osservato David Walmsley del Canada’s Globe & Mail, “potremmo sostenere il giornalismo di qualità senza rispettare tutte le esigenze informative di una comunità”?

Otto anni fa mi sono unito a Sally Lerhman per sollecitare l’attenzione sul calo della fiducia nel giornalismo.. Con il Trust Project, Sally ha avviato uno studio e ha raccolto i principi e le strategie utili alle testate giornalistiche per impostare un orientamento basato sulla trasparenza e la fiducia. Il Trust Project collabora con centinaia di testate giornalistiche in tutto il mondo.

Ma come direbbe Sally, c’è molto altro da imparare, molto altro da fare.

Ulrik Haagarup e il Constructive Journalism Institute in Danimarca offrono una prospettiva diversa, ripensando i modelli, i format, la linguistica utilizzati nel nostro lavoro giornalistico. Il termine “costruttivo” è fondamentale. Non sono notizie che fanno “stare bene”. Il giornalismo costruttivo va oltre il tipico modello di informazione, con segnali e intenti chiari, per includere il contesto necessario, i come e i perché e, soprattutto, una considerazione su come l’evento disastroso poteva essere prevenuto. È progettato per cercare un terreno comune. Quando organizzano dibattiti, evitano etichette divisive come Crossfire (“fuoco incrociato” ndr).

Quale modo migliore per ottenere il rispetto della società che dimostrare il potere del giornalismo nell’ aiutare una comunità a comprendere le sue sfide e ad affrontarle?

Le sfide dell’intelligenza artificiale e la sua inevitabile presenza nell’ecosistema dell’informazione

L’intelligenza artificiale sta rapidamente consentendo la creazione di media, tutti i media, dalle immagini ai testi alle persone artificiali.

È ormai a portata di mano.

Può essere utilizzata per creare rapidamente comunicazioni e componenti mediatiche convincenti. Sono molte le domande che dovremo porci ed a cui dovremo trovare risposta:

  • Che effetto avrà sulla nostra concezione di autorialità?
  • Come possiamo essere certi della provenienza, della fondatezza dei fatti, dell’autenticità?
  • In che modo i giornalisti dovrebbero divulgare in modo appropriato l’uso di questi strumenti nel loro lavoro?
  • Come possiamo sfruttare i benefici e gestire i danni dei motori di conoscenza AI?
  • Affronteremo la prospettiva dei silos della conoscenza con “Il mio motore di conoscenza è più intelligente del tuo?”

La regolamentazione di internet e la libertà di espressione

Il ruolo del giornalismo attiene a molte fondamentali questioni per la nostra società. Quando nacque internet molti, me compreso, erano ottimisti. Avevamo immaginato che più libertà di espressione ci fosse, meglio sarebbe stato.

Credevamo che i nostri angeli buoni avrebbero vinto.

Ma abbiamo scoperto che c’era un lato oscuro. Non siamo tutti angeli. Internet ha innescato dei comportamenti provocatori e problematici.

È comprensibile che ora i governi stiano cominciando a regolamentare internet, generalmente con buone intenzioni, ma spesso con conseguenze imprevedibili e potenzialmente dannose per la stampa libera e l’open internet.  Lo vediamo accadere in tutto il mondo. Fa paura, specialmente in un mondo dove la tendenza è verso società meno aperte e regimi più autoritari.

E questo ci porta alla questione fondamentale da affrontare: come possiamo garantire che la continua evoluzione della regolamentazione di internet assicuri una stampa libera e diversificata e non rafforzi invece specifici interessi politici o sostenga interessi economici radicati?

L’ open internet ci sta sfuggendo di mano. A quanto pare i nostri venticinque anni di internet o il fatto che abbiamo favorito la libertà di espressione sono sembrati un’aberrazione. Sebbene il problema dell’uso scorretto di internet non possa essere ignorato, è essenziale capire e riequilibrare i rischi che corrono la libertà di espressione e la stessa libertà di stampa.

È un terreno scivoloso. 

Alcuni attori del dibattito politico vedono internet come una minaccia alla loro share of voice, alla loro quota di influenza. Se potessero, trasformerebbero internet in un ambiente di distribuzione come quelli che hanno reso possibile i loro successi passati, dove solo coloro che avevano il potere e l’influenza per controllare e comandare la distribuzione, avevano voce in capitolo.

A livello globale siamo nelle prime fasi dell’evoluzione della regolamentazione di internet. È importante per il futuro del giornalismo e per la libertà di stampa che tutti gli appartenenti alla comunità giornalistica siano attenti alle conseguenze dirette ed indirette della regolamentazione man mano che essa si evolve.

Una lezione sempre valida è la seguente: quando c’è un cambiamento nella distribuzione dei media – radio, televisione (via cavo o via satellite), internet- i padroni dei media cercano di mantenere il predominio, di impedire l’espansione del mercato ai nuovi imprenditori del settore e di ridurre la diversità delle voci che i media potrebbero consentire.

Questo è tanto comprensibile quanto preoccupante. È quanto sta accadendo oggi con internet. Se siete giornalisti che lavorano per una media company, grande o piccola che sia, siete invitati a prestare molta attenzione.

È importante che i giornalisti che si occupano della policy di internet vadano oltre i meme e facciano attenzione a non farsi accecare da interessi personali a breve termine.

La posta in gioco è alta, per il futuro del giornalismo e per il futuro delle società aperte.

Siamo a favore di una regolamentazione attenta e ragionata di internet. Ci auguriamo solo che essi rispetti questi principi chiave:

  • Proteggere l’open Web e l’open Internet e la libera espressione che essi consentono, e non un sistema di distribuzione chiuso che favorisca pochi.
  • Consentire una stampa libera diversificata e finanziariamente indipendente.
  • Proteggere dall’indebita influenza dei governi che può squilibrare l’ecosistema dell’

Anche volendo fidarci del fatto che la regolamentazione ottenga l’effetto desiderato, è fondamentale esaminare le clausole scritte in caratteri piccoli.

I meccanismi creati da tale regolamentazione potrebbero facilmente anche rivoltarsi contro la stampa a seconda delle motivazioni del governo in carica.

Domande difficili. Nessuna risposta facile.

Necessitiamo di una migliore comprensione delle diverse culture del nostro mondo

Jere Van Dyk è un inviato in Afghanistan da più di 40 anni! Per il New York Times, per CBS News, per Agence France Presse e molti altri. È andato dove altri non sarebbero andati. Si è calato nella realtà delle province tribali. Vi si è immerso profondamente nel tentativo di comprendere il movimento fondamentalista dei Wahhabiti. Vi si è immerso profondamente nel tentativo di capire i Talebani. Il prezzo che ha pagato è stato quello di essere rapito dai talebani e tenuto in ostaggio per 45 giorni, pensando che ogni giorno poteva essere l’ultimo.

Ha raccontato questa esperienza in un bellissimo e toccante libro intitolato Captive (lo consiglio vivamente). Il suo ultimo libro, Without Borders: The Haqqani Network and the Road to Kabul, (disponibile da domani) si basa sulla sua lunga esperienza con la rete Haqqani.

Di recente, alla Newsgeist Unconference di Google a Bratislava, Jere ha tenuto un discorso appassionato e stimolante. È stato molto critico nei confronti della nostra evidente riluttanza a guardare oltre le nostre divisioni per comprendere culture diverse dalla nostra. Il suo interesse fondamentale per le province tribali e per i Wahhabiti derivava dal desiderio di comprendere il comportamento tribale fondamentalista, data la sua prima esperienza di crescita in una setta religiosa fondamentalista.

Possiamo comprendere le nostre differenze senza riconoscere le somiglianze? L’Occidente può permettersi di essere semplicistico nel ritrarre l’Oriente, e viceversa, se vogliamo raggiungere una stabilità sociale a lungo termine?

Mantenere la stampa libera e al sicuro nello svolgimento del suo ruolo fondamentale nelle società aperte

Il Moscow Times, fondato trent’anni fa da Derk Sauer e diretto da Dimitri Dmitrienko, sta ora lottando per rimanere operativo dall’esilio dopo essere stato proibito dal governo russo. Daryna Shevchenko e il Kiev Independent, una giovane testata giornalistica emergente in Ucraina, affrontano sfide simili.

Il loro interesse è il nostro, come possiamo aiutarli a rimanere attivi e funzionanti quando i cattivi attori cercano di distruggerli?

Google ha implementato programmi di protezione avanzata e il Project Shield per mantenerli operativi e per questo ha ricevuto l’Ukraine Peace Prize.

È stato un grande dell’antica Grecia ad affermare che le nostre società aperte, le nostre democrazie, saranno distrutte dalle libertà che consentiamo. Parole sagge. Parole terrificanti. Che ci colpiscono molto da vicino.

La sfera politica si è adattata alle capacità di internet – per parlare agli elettori, per costruire alleanze politiche – molto più rapidamente ed efficacemente del mondo del giornalismo.

Ne vediamo l’impatto in tutto il mondo. La tendenza è preoccupante, per tutti.

Le sfide sono tanto complesse quanto cruciali. Anzi, esistenziali. È necessario comprendere profondamente le sfide e fare appello alla saggezza di tutti per affrontarle. Avremo bisogno degli sforzi di molti appassionati giornalisti, redattori, editori ed esperti di tecnologia per concentrarci su queste domande e trovare le risposte prima di perdere l’opportunità di farlo.

Come può il giornalismo evitare di amplificare il senso distorto del rischio?

Negli Stati Uniti abbiamo 400 volte più probabilità di morire in un incidente stradale che in un atto terroristico.

Abbiamo 35 volte più probabilità di morire di cancro o di malattie cardiache che di qualsiasi forma di morte violenta. Tuttavia, la ricerca ci dice che percepiamo queste paure al contrario: la nostra paura del terrorismo è esponenzialmente più alta di quella di morire nelle nostre auto.

Viviamo in uno scenario di rischio falsato. Viviamo in una società in cui le nostre paure percepite sono amplificate talmente da perdere di vista i veri problemi delle nostre società. Ogni giorno leggiamo di terrorismo, effrazioni, rapimenti, flussi di rifugiati: tutti eventi orribili ma anomali che si verificano nel mondo moderno. Anche se non intenzionalmente, i notiziari svolgono un ruolo intrinseco nel plasmare percezioni della realtà che sono in conflitto con la vera realtà.

Che cosa dovrebbe davvero riguardarci nelle nostre comunità? Se entriamo in una cabina elettorale con un senso distorto del rischio sociale, ciò non potrebbe alterare il modo in cui valutiamo le tematiche politiche o i candidati?

Se crediamo che il ruolo del giornalismo sia fornire ai cittadini le informazioni di cui hanno bisogno per essere cittadini informati, possiamo fornire più contesto? C’è davvero un aumento di effrazioni o sono eventi rari? Possiamo colmare il divario tra paura irrazionale e paura razionale? Possiamo costruire una base di conoscenze statistiche che aiutino a fornire un contesto?

Potenziare il lavoro dei giornalisti con strumenti migliori

Nel mondo digitale, la conoscenza è spesso nascosta nei dati e i dati spesso sono nascosti dietro la complessità tecnica. Nuovi strumenti potrebbero consentire ai giornalisti di portare avanti indagini che altrimenti sarebbero inattuabili o difficili dal punto di vista pratico.

I Panama Papers e i Pandora Papers sono straordinari esempi di giornalismo di grande impatto basato sull’analisi. In questa direzione va il lavoro dell’International Consortium of Investigative Journalists* i cui sforzi eccezionali hanno potenziato la collaborazione tra le redazioni.

Ogni giornalista ha bisogno di strumenti migliori. Ogni redazione può trarre vantaggio dalla collaborazione con gli altri. Aiuta a risparmiare tempo. Aumenta i loro super poteri.

Come possiamo adattarci alle forme dei media che le nostre culture stanno adottando?

Il presupposto alla base di una società democratica e della professione del giornalismo è il seguente: se esprimiamo le nostre idee con le parole e gli argomenti logici giusti, se un numero sufficiente di persone legge queste parole, allora le nostre democrazie saranno efficaci, il mondo sarà un posto migliore.

Ancora una volta, internet e le declinazioni dei nuovi media hanno riorganizzato le strutture sociali, politiche e culturali. Lo vediamo con i social. Lo vediamo con i video brevi. I messaggi si accorciano. Un’inevitabile progressione, o digressione, di come comunichiamo, di come comprendiamo la società in cui viviamo. Non possiamo ignorarlo.

Kevin Munger[1] sostiene che le diverse forme di conversazione umana abbiano un’influenza enorme su quali idee possiamo opportunamente esprimere. E quali idee sia conveniente esprimere diventa inevitabilmente il contenuto importante di una cultura.

Non sto suggerendo che TikTok sia il futuro del giornalismo, sebbene diventerà un mezzo di espressione giornalistica, ci piaccia o no.

Dobbiamo adattarci ai costrutti linguistici del nostro tempo.

Come possiamo raggiungere coloro a cui tutto questo non importa o che hanno perso interesse?

Il Reuters Institute ci dice che solo il 10% delle nostre società utilizza regolarmente quelle che potremmo definire notizie serie. Ancora minore è la percentuale di coloro che pagano per queste notizie. Lo sentiamo dai nostri amici. Evitano le notizie. Li intristiscono, li rendono ansiosi, li spaventano. Trovano conforto in altri modi, con le grandi abbuffate di serie su Netflix o alimentando la loro dipendenza da TikTok.

Lo faccio anche io.

Ricordo quello che scrisse Neil Postman sulla televisione nel 1985: “Ci stiamo divertendo da morire”. Postman fece anche le seguenti incontrovertibili osservazioni sulle nostre culture che risuonano in maniera fin troppo forte oggi: “Ciò che George Orwell temeva erano coloro che avrebbero vietato i libri. Ciò che Aldous Huxley temeva era che non ci sarebbe stato alcun motivo per vietare i libri, perché non ci sarebbe stato nessuno disposto a leggerne uno. Orwell temeva coloro che ci avrebbero privato delle informazioni. Huxley temeva coloro che ce ne avrebbero date così tante da ridurci alla passività e all’egoismo. Orwell temeva che la verità ci sarebbe stata nascosta. Huxley temeva che la verità sarebbe stata annegata in un mare di irrilevanza.”

Come ha notato Huxley in Il Mondo Nuovo. Ritorno al Mondo Nuovo, i paladini della giustizia sociale sempre all’erta per opporsi alla tirannia “non tengono conto del fatto che gli uomini hanno un appetito pressoché insaziabile di distrazioni”. In 1984 di Orwell, ha aggiunto Huxley, le persone sono controllate infliggendo loro dolore. Nel Mondo Nuovo, sono controllate infliggendo loro piacere. In breve, Orwell temeva che ciò che odiamo ci avrebbe rovinato. Huxley temeva che ci avrebbe rovinato ciò che amiamo

Nuovi modelli economici per il giornalismo 

Sì, il modello del quotidiano metropolitano ricco e quasi monopolista non tornerà mai più. Nel 1985, i giornali erano internet prima che esistesse.

Ma ora abbiamo internet. Gli annunci economici sono migrati sui mercati online. I grandi magazzini sono stati soffocati dall’e-commerce.

I buoni alimentari cartacei sono diventati programmi di fidelizzazione. Ecco che fine ha fatto QUEL modello di business.

Ma, per molti imprenditori, non è finito il business del giornalismo. Non hanno avviato le loro imprese pensando di non trovare la strada del successo. Hanno avviato quelle imprese perché sapevano che c’erano vuoti da riempire, opportunità da cogliere.

Molti ci stanno riuscendo. Un sacco di duro lavoro. Lunghe notti di dubbi stressanti. Ma ci credono. Ogni giorno ne abbiamo la prova.

In Francia, Le Figaro registra 250.000 abbonati solo digitali, con un aumento del 20% dal 2020. In Germania lo scorso anno, Die Zeit ha registrato un aumento del 43% degli abbonamenti digitali rispetto all’anno precedente. Axel Springer ha ridisegnato il suo business dei media, vendendo i suoi giornali regionali, acquistando Politico e ora possiede Touchstone, il più grande sito per trovare lavoro in Europa. Il Times of London ha registrato il suo anno migliore dal 1990. Il direttore John Witherow ha annunciato “un’età d’oro per il giornalismo”. Il New York Times ha ora oltre 9 milioni di abbonati.

Insomma, tanti segnali di successo digitale. Non è più una questione se le iniziative giornalistiche possano avere successo o meno. Ora si tratta di condividere le formule di chi ha avuto successo. Come estendiamo il successo di alcuni a molti?

In ogni progresso nella distribuzione dei media, c’è sempre stata una prima fase di esplorazione. Fallimento. Successo. Evoluzione. Poi è apparso chiaro quali sarebbero stati i modelli per le radio locali, o per i settimanali, quando ancora esistevano. Ora siamo in quella seconda fase in cui i modelli di successo possono essere diffusi.

Lo so, non ho posto nessuna domanda relativa al modello di business, perché ogni domanda che ho posto è fondamentale per una testata giornalistica di successo, sia dal punto di vista giornalistico che finanziario. Sono tutte domande basilari. Le risposte sono la strada per il successo, qualunque esse siano. Consentitemi di ripetere ciò che ho detto all’inizio: la più grande sfida che il giornalismo deve affrontare non è un problema di modello di business, ma un problema di rilevanza.

Il giornalismo di qualità non esisterà, tanto meno prospererà, se la società nel suo insieme non riconosce l’importanza del giornalismo e non lo sostiene con la propria attenzione e, in misura adeguata, con i propri portafogli.

La politica pubblica non creerà rilevanza. Il supporto delle piattaforme non creerà rilevanza.

Nessun modello di business per il giornalismo avrà successo se la società non rispetta e valorizza il giornalismo di qualità che ci aspettiamo nasca da una stampa libera.

NOTE

 [1] Kevin Munger è professore di scienze politiche e analisi dei dati sociali alla PennState

RICHARD GINGRAS

Richard Gingras è il vicepresidente globale del settore News di Google. In questo ruolo Gingras si occupa del modo in cui Google pubblica le notizie sui suoi servizi per i consumatori e degli sforzi di Google per creare un ecosistema sano e aperto per il giornalismo di qualità. Questo include la Google News Initiative, l’investimento globale di Google negli sforzi per elevare la qualità del giornalismo, esplorare nuovi modelli per la sostenibilità e fornire tecnologia per stimolare l’efficienza dei costi nelle redazioni.

Gingras fa parte dei consigli di amministrazione dell’International Consortium of Investigative Journalists, dell’International Center for Journalists, della First Amendment Coalition, della UC Berkeley School of Journalism e di PRX, la Public Radio Exchange.

Gingras ha percorso le strade più innovative, dalle reti satellitari ai motori di ricerca, da Apple a Excite a Google. Sa che l’innovazione è difficile.

Ammette prontamente di aver commesso più errori di voi.

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