Il Consiglio Nazionale dell’Ordine commemora Walter Tobagi, giornalista ucciso a 33 anni, durante un agguato terroristico, il 28 maggio del 1980. Il ricordo di Marco Volpati consigliere nazionale e amico personale di Tobagi. 

 

 

Walter Tobagi,  cronista politico e sindacale del “Corriere della Sera”, inviato sul fronte del terrorismo, era uscito dalla propria abitazione e stava andando in garage a prendere la sua auto. Un commando di terroristi lo aspettava, fu affrontato e ucciso, con cinque colpi di pistola. Nel giro di alcuni mesi, le indagini portarono alla identificazione degli assassini, appartenenti alla “Brigata 28 marzo”, il gruppo terrorista di estrema sinistra, composto anche da figli di famiglie della borghesia milanese, che si era costituito dopo l’uccisione, avvenuta qualche mese prima, di quattro brigatisti rossi nel “covo di via Fracchia” a Genova.
Le indagini accertarono che i terroristi avevano individuato da tempo Walter Tobagi quale “possibile obiettivo”. Per il Corriere della Sera, aveva seguito tutte le vicende relative agli “anni di piombo” e aveva denunciato il pericolo del radicamento del fenomeno nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro. Uno dei suoi ultimi articoli era intitolato “Non sono samurai invincibili”.
La sera prima del suo omicidio aveva partecipato a un incontro, al Circolo della stampa di Milano, sul tema della responsabilità del giornalista di fronte all’offensiva delle bande terroristiche e riferendosi alla lunga serie dei loro attentati, le cronache ricordano che aveva detto “Chissà a chi toccherà la prossima volta”. Dieci ore dopo fu ucciso.

La carriera giornalistica di Tobagi era iniziata molto presto, dopo il liceo, all’Avanti e successivamente all’Avvenire. E’ stato Presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti. Successivamente era approdato al Corriere della Sera dove si occupava di vicende legate al terrorismo, sia nero che rosso. Walter Tobagi era sposato con Maristella e aveva due figli: Luca e Benedetta. 

Marco Barbone, leader della Brigata 28 Marzo, killer materiale del giornalista, venne arrestato nell’ottobre del 1980. Collaborò con gli inquirenti, divenne un pentito e a seguito delle sue dichiarazioni furono individuati e arrestati tutti i componenti dell’organizzazione.

 

Il ricordo del collega e amico Marco Volpati:
Se quel 28 maggio del 1980 Walter Tobagi fosse sfuggito all’imboscata dei suoi giovani assassini, oggi avrebbe 76 anni. Un’età da pensionati, anche se non si riesce ad immaginare “in quiescenza” uno spirito così vivace, un’intelligenza tanto fertile. Chi gli è stato collega, amico e compagno di lotte politico-sindacali fa fatica a rendersi conto che tra i giornalisti milanesi e lombardi non sono molti quelli che hanno avuto il privilegio di conoscerlo e frequentarlo.

Sul terrorismo violento e omicida si è ormai detto tutto o quasi; anche se attorno a tante vicende tragiche, tra cui quelle di Tobagi e di Moro, restano punti oscuri su cui alcuni ostinati e coraggiosi tra giornalisti, magistrati e politici continuano virtuosamente a indagare.

Il gruppo di giovani aspiranti brigatisti colpì un inviato di prestigio, che all’età di 33 anni firmava in prima pagina sul Corriere della Sera, e contemporaneamente era presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti, il sindacato di categoria: nel volantino di rivendicazione del delitto questa qualifica è sottolineata.

Un giovane uomo, padre di famiglia, che conduce un’esistenza intensissima: lavora al giornale, guida il sindacato della stampa, conduce studi di storia contemporanea e pubblica saggi.

Tobagi sa studiare, apprendere, approfondire, capire la realtà e condividere con i lettori le sue ricerche. Fin da ragazzo si esercitava nel giornale studentesco del Liceo Parini, e poi, ancora studente, scriveva su periodici specializzati di calcio e sport invernali. Discipline fisiche che lui non praticava, ma che sapeva seguire come eventi agonistici.

Poi crebbero la passione per la storia, il costume, le cronache politiche e sindacali, fino ai fatti del terrorismo che dominavano in quegli anni. Lo faceva con scrupolo, profondità, coraggio, attenzione a tutti i soggetti. A condannarlo, mettendolo nel mirino dei suoi assassini, è stata sicuramente la sua disposizione a voler vedere e ascoltare da vicino anche gli estremisti più accaniti, anche i simpatizzanti dei terroristi.

Il tratto eccezionale di Walter era la generosità: un giovane inviato del principale quotidiano italiano accetta di fare il sindacalista, e consuma giorni e notti a beneficio dei colleghi, per conquistare per tutti loro condizioni migliori di lavoro e di vita. Ha uno straordinario successo professionale, ma non si sottrae all’impegno civile.

In questi tempi di individualismo e competitività esasperati, è davvero il caso di coltivare la memoria e lo studio della sua opera, dei suoi scritti, delle riflessioni profonde e attuali sulle responsabilità e i doveri che porta con sé il mestiere di giornalista.

 

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